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Porto in dote

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Il cielo dell’alba è bianco

la linea quasi non si vede.

Appena sotto il davanzale 

il silenzio degli alberi.

Il respiro.

 

Dalla notte eredito 

il venire della luce

– un lascito dovuto 

per le ore sottratte al sonno

per restarle accanto.

 

Io porto in dote

un fiore di ranuncolo

che il vento non ha piegato

e poche voci da cortili

d’aperta campagna.

 

 Laura Turra - 17/08/2018 15:01:00 [ leggi altri commenti di Laura Turra » ]

Grazie, Rosa, sei cara. Sappi che anche io ti leggo sempre e apprezzo la tua scrittura.
Un grande abbraccio

 Rosa Maria Cantatore - 17/08/2018 14:49:00 [ leggi altri commenti di Rosa Maria Cantatore » ]

devo dire la verità: leggo tante belle (o anche bellissime) pagine di poesia, in questo sito ma...
... ma i tuoi versi sono straordinariamente vicini al mio modo di sentire.
Al mio modo di essere.

 Laura Turra - 17/08/2018 13:27:00 [ leggi altri commenti di Laura Turra » ]

Caro Gil, caro Giovanni, è sempre una sorpresa grande leggermi attraverso i vostri occhi, scoprirmi nei vostri commenti. Vi sono grata delle vostre splendide letture.

 Giovanni Rossato - 17/08/2018 08:38:00 [ leggi altri commenti di Giovanni Rossato » ]

Bei versi, in particolare il sentimento che esprimi negli ultimi è qualcosa che assolutamente condivido; quel senso di permanenza dove il ricordo non è tempo morto ma tempo che rimane.
Brava

 Gil - 17/08/2018 08:03:00 [ leggi altri commenti di Gil » ]

C’è tutto nella prima stanza: la bellezza dell’alba in quel cielo che appare indiviso dal resto della luce, non vi sono confini, non più un al FI qua e un al di là; l’anima vi è stata rapita attraverso lo sguardo. Un rapimento che continua nella visione degli alberi sotto il davanzale - qui vi è un’altitudine d’osservazione che è anche metafora di un’elevatezza dello spirito, il soffio dell’anima, il respiro delle piante che svvolge, contorno quello struggimento che pure si avverte, affiora; perché tutto ciò che ora appare nella luce, tutta la luce, è il "lascito dovuto" a chi ha vegliato la notte, una veglia più gemente che estatica, più orante di spasmi che laudativa, una veglia ineludibile, non più ricerca ma necessità, che ha sottratto al sonno il vegliante, che non si è sottratto all’appello notturno dei patimenti, dei tormenti di un’anima che, leggendo dopo, appare una sposa alla vigilia nuziale del suo incontro con la luce, con il giorno, con ogni compito d’amore che l’attende, con l’Amato, con Dio, nom sappiamo e non dobbiamo sapere della sua intimità spirituale e in un certo senso nuziale, poiché, come ogni sposa d’un tempo, porta seco una dote, un lasciti d’origine, in questa immagine simbolica, in questa metafora ella porta le "poche cose" che ha attorno, la resistenza del ranuncolo e la solitudine dei "cortili d’aperta campagna", ella viene nell’umiltà del quotidiano, della semplicità delle cose semplici, eppure non di meno sposa la vita, la luce, ha vegliato la notte, ora è pronta per il giorno, è sposa che va incontro all’amato e l’amato non qui una persona di carne, né un ricordo né forse Dio; qui è la nudità dell’Amore, lo struggimento di esistere, sì: anche il desiderio di un umano amore umano fa delle nostre notti vigilie d’attesa, tra nostalgia di un infinito che ci appella per nome e una prossimità della carne che spesso è ombra ai nostri passi.

Poesia venata di malinconico struggimento ma di sconvolgente bellezza, specchio di parole in cui vi risplende la tua.

Un forte abbraccio

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